Resilienza, capitale sociale e issue management per una comunicazione responsabile
Una riflessione sulla
comunicazione di crisi nata dai due terremoti che hanno colpito L’Aquila
e l’Emilia, con il contributo di numerosi soci Ferpi. La lettura di
Toni Muzi Falconi alla luce dei temi di resilienza, capitale sociale e
issue management
Quale descrizione più convincente del diffuso paradigma per cui la
comunicazione-con è (quasi) sempre più efficace della
comunicazione-a… di leggibile nell’appena uscito
“Disastri Naturali: una comunicazione responsabile?” (Bononia University Press, 2016), quando
Massimo Alesii si
sofferma sulla diversità dei modelli che hanno caratterizzato il
governo della comunicazione nei due terremoti dell’Abruzzo e
dell’Emilia?
Diffusa “resilienza comunitaria” in quest’ultimo e “centralismo comunicativo” nel primo.
Nonostante il recente deperimento degli indicatori relativi al capitale sociale del territorio emiliano, emerge ben chiaro dal racconto di Alesii il diverso spessore di resilienza
(“legameria sociale”, la chiama argutamente nel libro un partecipante a
un focus dell’Università di Modena e Reggio Emilia). Una resilienza
alimentata da reti sociali orizzontali, peer-to-peer, ove è la
comunicazione a orientare la qualità delle relazioni e non il contrario,
come nel caso dell’Abruzzo dove la comunicazione fu esercizio di potere
(politico) e di persuasione (mediatica).
Né conosco rendicontazione più aggiornata e vivace sulla utilità della “prevenzione di crisi” e poi -quando la crisi scoppia- sulle modalità della sua comunicazione, argomentata in questo lavoro da Luca Poma, con la insolita e benvenuta aggiunta di una intrigante suggestione del piano di crisi come “antifurto”, a tutela delle relazioni con gli stakeholder, quasi “copertina’ di Linus”.
In più, dando per scontato che mai una crisi si presenta proprio come
era stata prevista, Poma aggiunge anche che l’esercitazione costante è
sempre e comunque essenziale perché arricchisce il valore della
prevenzione, focalizzando l’attenzione più sul “quando” e sul “come”,
che non sul “se” operare.
Considero poi di inusitato livello la essenziale e asciutta lucidità del testo di Sergio Vazzoler
quando descrive valori, dinamiche e importanza della comunicazione
ambientale per il rafforzamento della partecipazione sociale ai processi
decisionali pubblici (è di questi giorni finalmente il primo ingresso
ufficiale della Commissione Europea nella elaborazione di una politica
di “debat public”).
Basterebbero questi elementi a consigliare la lettura di questa opera – in larga parte dovuta alla passione e la competenza di Biagio Oppi e Stefano Martello
– non solo agli studenti universitari, ma a tutti i professionisti,
consulenti e dipendenti; giovani, maturi, nuovi vecchi e anziani (come è
l’autore di questa nota) che per vivere si occupano di relazioni
tramite strumenti e canali di comunicazione. E sono ormai quasi 150 mila
nel nostro Paese.
Ma questa opera non finisce qui: le ricche, curiose e stimolanti testimonianze di Fabio Montella e Monica Argilli;
insieme all’inedita metodologia di analisi e riflessione prodotta dagli
studiosi dell’Università di Modena e Reggio Emilia, ne fanno una
lettura davvero originale nel panorama piuttosto banale e ripetitivo
della nostra pubblicistica.
Per parte mia, provo ad aggiungere, se possibile, qualche ulteriore
valore al lavoro dei miei colleghi, ripercorrendo quel particolare
filone delle relazioni pubbliche noto come “issue management”.
Un filone che, soprattutto nella sua accezione “organizzativa”,
appare particolarmente adatta a consolidare e rafforzare l’impianto
narrativo di questo bel lavoro, nel tentativo di offrire spunti e
indicazioni operative a chi dovrà occuparsi delle inevitabili crisi
prossime venture.
Nel 1976 lo statunitense Howard Chase – professionista assai vicino
al Presidente Eisenhower, e uno dei sei fondatori della Public Relations
Society of America – pubblicò un lavoro indicando con il nome di “issue
management” una interpretazione della comunicazione d’impresa come
‘colla’ che tiene insieme l’organizzazione composta da network di
relazioni.
Si tratta, ancora oggi, del livello più avanzato e maturo di
integrazione delle relazioni pubbliche come costitutive della funzione
di direzione.
In breve: qualsiasi organizzazione identifica, monitora e orienta –
in funzione dei propri obiettivi, caratteristici e unici – le diverse
dinamiche delle ‘variabili’ sociali e culturali e dei ‘fattori’
economici e tecnologici che ne influenzano il raggiungimento.
Gli “early adopters”, anche a causa della crescente regolazione
pubblica cui venivano sottoposte nella seconda metà degli anni settanta,
furono le grandi imprese del tabacco e dell’alcool, delle armi e della
tecnologia.
In assoluto all’avanguardia fin dal 1976, la IBM, specialmente in
Europa dove le regolazioni dei singoli mercati erano le più
diversificate.
Fu allora, nel 1980, che un gruppo di brillanti giovani ex IBMers
britannici (Ian Dauman, John Stopford, Geoffrey Morris e Dick Van Den
Bergh) fondarono una società di consulenza strategica (Matrix limited) i
cui primi clienti furono la Philip Morris e la Shell (!!).
Lo schema organizzativo, parallelo e contemporaneo a quello
tradizionalmente gerarchico e verticale, è a matrice: massimo dieci
‘issue’ selezionate incrociando la loro importanza e urgenza. Per
ciascuna issue una squadra coordinata da un issue manager e composta da
un analyst, un advocate e un account, con ruoli intercambiabili in
funzione delle singole competenze e abilità.
L’account segue con attenzione le dinamiche interne
dell’organizzazione e come queste impattano sulla specifica issue;
l’advocate è l’esperto della rappresentazione presso i regolatori e gli
influenti; l’analyst è invece l’esperto della materia specifica; mentre
l’issue manager formula la definizione e l’aggiornamento continuo di una
policy per ciascuna tematica, assicurando la funzionalità del lavoro
collettivo.
La squadra “scorrazza” su e giù e attraverso l’organizzazione
formale, con tutte gli immaginabili conflitti ma anche arricchimenti
culturali interni stimolatori di straordinari risultati sul campo.
In Italia, nel 1981, nacque la Intermatrix Italia, un srl con
azionisti, insieme alla Casa Madre inglese: la Scr Associati (leader
nelle relazioni pubbliche); Methodos (leader nella formazione
manageriale); il consulente di direzione Mario Unnia; l’economista
Antonio Martelli; i sociologi Enrico Finzi e Renato Mannheimer; e il
ricercatore Gadi Schonheit. Insomma una gran bella squadra.
Fra i primissimi clienti, la Xerox Italia che, complice il capo della
comunicazione Paolo Pasini, commissionò alla neonata società la stesura
di un “manuale di issue management” che negli anni successivi ebbe
ampia distribuzione soprattutto in ambienti confindustriali andando ad
arricchire soprattutto la cultura manageriale del movimento dei giovani
imprenditori.
Rimango convinto che l’issue management, nella sua formulazione
culturale e organizzativa, rappresenti oggi la metodologia di direzione
che meglio integra le logiche fuzzy e relazionali indotte dalle
tecnologie prodotte dalla globalizzazione, la società a rete e le
rivoluzioni del sistema dei media e del discorso pubblico.
Concludendo, ogni riflessione operativa intorno alla resilienza di un
territorio in preparazione (o in presenza) di turbamenti materiali,
economici, sociali e culturali costituisce grazie all’esperienza
dell’issue management un forte valore aggiunto al capitale sociale di un
territorio.