In queste settimane post terremoto ho spesso pensato a cosa avremmo dovuto dire, scrivere e commentare; presto mi son detto – e soprattutto ci siamo detti con diversi colleghi – che a tempo debito avremmo potuto ragionare anche su questo disastro naturale per tentare di mettere in moto un meccanismo positivo come quello che Ferpi fu in grado di generare dopo L’Aquila e l’Emilia.
Il naturale pudore e l’immediata solidarietà di chi ha vissuto sulla propria pelle la tragedia di un terremoto o di un altro disastro naturale ci hanno trattenuti dall’intervenire.
Questo non ha significato che alcuni di noi non si siano adoperati, preoccupati e impegnati: raccolte fondi, racconto dell’impegno delle forze di protezione civile, inviti e appelli… tanti di noi hanno lavorato sodo. Chi per pura solidarietà, chi per lavoro perché gli capita di essere direttamente interessato, chi per interesse professionale. La comunità dei comunicatori ancora una volta si è mossa; questa è la dimostrazione che il collegamento tra comunicazione/relazioni pubblicazioni da un lato, disastri naturali dall’altro non è una forzatura. Il recente libro che abbiamo pubblicato,
Disastri naturali: una comunicazione responsabile? Modelli, casi reali e opportunità nella comunicazione di crisi www.buponline.com edito da Bononia University Press, è stata la sintesi di una serie di confronti e iniziative cominciate proprio in quel lontano 2012.
Avendo vissuto piuttosto da vicino anche questo terremoto del centro Italia (capita infatti che in quella zona sia localizzato uno stabilimento dell’azienda per cui lavoro) ed essendomi confrontato con colleghi dell’area, mi pare di poter dire che sempre più professionisti adottano il coinvolgimento e un modello di comunicazione comunitario, social (destra-sinistra-destra come lo aveva definito Toni qualche mese fa al Politecnico di Milano).
Tuttavia rimangono ancora alcuni problemi evidenti – in particolare in alcune figure di governo che pare abbiano bisogno di raccogliere consensi su qualsiasi cosa e continuamente – che non riescono a prendere le distanze dal modello top-down, che nel libro Alesii prima, Martello ed io poi, abbiamo identificato con l’approccio di B&B. Io spero che l’immediato parlare di ricostruzione e presentare subito un marchio Casa Italia abbia un seguito concreto e di lungo periodo. Non ne posso più di sentirmi raccontare cose nel breve periodo e poi non vederlo realizzato nel lungo. Se davvero si ritiene sia una priorità e lo è, allora la funzione della comunicazione e delle relazioni pubbliche non può essere quella di fare una conferenza stampa, una settimana di tam-tam e poi dedicarsi ad altro. Io come al solito penso che su questo tema, come su altri, la funzione relazioni pubbliche dovrebbe servire ad un interesse più generale: in questo caso, un grande piano di comprensione degli stakeholder, di ascolto delle aspettative della popolazione e di coinvolgimento di tutti gli attori sia necessario ed opportuno per un cambiamento vero nell’abitare, progettare, costruire i luoghi del nostro futuro.
Per questo ritengo che l’invito a una comunicazione responsabile sia di estrema attualità. Una comunicazione che peraltro diversi nostri colleghi mettono in pratica quotidianamente e hanno praticato in queste settimane: penso ai post dei colleghi dalle zone terremotate per raccontare il lavoro dei volontari ad esempio; penso anche ai due capitoli dedicati alla preparazione sulla crisis communication e alla comunicazione ambientale.
E a questo proposito e su questi temi di interesse del paese, credo che sarebbe utile incontrarci (magari entro fine anno) per discutere insieme, confrontarci e presentare pubblicamente proposte concrete che rappresentino il punto di vista della principale associazione professionale di comunicatori.