La scossa di Norcia ci colpisce ancora una volta nell'intimo... e stamattina dalle 7.40 i primi minuti su Twitter sono stati tremendi, tra una sparata (7.1) e mille appelli di aiuto. Diventa necessario riflettere ulteriormente sul ruolo che i social media assumono nei disastri e soprattutto nei primi minuti di questi disastri.
E' sempre più evidente come i social media di elezione in caso di disastri naturali siano divenuti Twitter, in primo luogo, e Facebook, in seconda battuta.
Meno evidente, probabilmente ancora da studiare a fondo, ma altrettanto interessante è il rilievo che i terremoti e i disastri assumono nelle nostre vite grazie ai social.
Se oggi la nostra vita, le nostre biografie e le nostre esperienze sono contaminate per gran parte dei loro contenuti - quindi nella stessa narrazione esterna ed interna delle nostre vite - dai social media, non appare strano che i disastri naturali diventino essi stessi parte di una narrazione collettiva e individuale diffusa dai/sui social media.
Mi spiego meglio.
L'evento calamitoso e il disastro naturale sono per natura eventi mediatici. Anzi ancor meglio. Sono storie affascinanti, terribili e avvincenti. I giornalisti e i media di ogni tipo (stampa, radio, tv, web) si sono sempre buttati a pesce sui disastri e sulle calamità, perché queste hanno tutti gli ingredienti per interessare il pubblico: immagini, tragedie individuali e collettive, morti/vittime, antagonisti (cultura vs natura / polemiche politiche, ecc)
Oggi la possibilità di vivere in diretta un evento calamitoso tramite i social media, lo rende un'irresistibile flusso di narrazione collettiva, che segna molto più di quanto faceva in precedenza l'intera popolazione.
Oggi tutti noi viviamo un terremoto a distanza come qualcosa che è tra noi, quando fino a pochi anni fa, lo vivevamo come un evento limitato a un territorio.
La scossa che faceva tremare la libreria a casa mia, mentre a centinaia di km si consumava una tragedia immane, un tempo era derubricata a qualcosa di lontano per me, anche se terribile e tremendo per chi ne veniva colpito. La stessa dimensione emotiva era molto rilevante, per quanto si potesse essere partecipi e coinvolti.
Oggi non è più così: il qui ed ora del social media, ci lancia in un continuum emotivo del discorso pubblico e della narrazione, che ci fa sentire tutti molto più partecipi e vicini a coloro che sono stati realmente colpiti.
I social media hanno cambiato la nostra percezione dei disastri naturali. Oggi siamo tutti un po' più terremotati. Non dobbiamo stupirci se tutti partecipani a questa narrazione collettiva. Perché tutti in fondo hanno legittimità a sentirsi parte della comunità colpita. Che non è solo una comunità territoriale, ma anche una comunità virtuale che vive e si alimenta sui social media. L'auspicio è che questa maggiore presenza del disastro nelle nostre vite non si trasformi in assuefazione e insensibilità; o ancora peggio virtualizzazione del reale rappresentato dalle calamità.
Per questo - anche da parte nostra, di comunicatori e relatori pubblici - è necessario continuare a studiare il fenomeno sotto tutti i suoi aspetti.
Di nuovo la vicinanza di tutti noi che animiamo questo blog a chi è stato colpito e ai soccorritori presenti nelle aree terremotate.