giovedì 7 luglio 2016

I Sindaci, i disastri ambientali e la roulette russa

Fare il Sindaco è diventato una roulette russa”: con queste parole l’ex primo cittadino di Genova, Marta Vincenzi, ha commentato la richiesta di condanna da parte del Pubblico Ministero a 6 anni e 1 mese di reclusione per le responsabilità legate all’alluvione genovese del Novembre 2011 che costò la vita a 4 donne e 2 bambine.
Una notizia di attualità che, ancora una volta, richiama l’attenzione al ruolo degli amministratori pubblici nella gestione di crisi quando la natura si ribella e provoca un disastro ambientale. E proprio a questi temi è dedicato il capitolo che ho scritto per il libro “Disastri naturali: una comunicazione responsabile? Modelli, casi reali e opportunità nella comunicazione di crisi”, curato da Biagio Oppi e Stefano Martello ed edito da Bononia University Press di Bologna.
Con la metafora della roulette russa, Marta Vincenzi, si riferisce all’uso esclusivo della giurisprudenza per determinare poteri e responsabilità di un Sindaco a livello di protezione civile. E certamente pone l’attenzione su un punto reale e cruciale delle tendenze in atto. Una riflessione a sé merita la capacità del sistema pubblico-politico nel governare la dimensione ambientale e la sua comunicazione, a partire dai momenti di crisi. E proprio l’esempio della gestione comunicativa nei frequenti eventi alluvionali che hanno colpito il nostro Paese è fortemente significativo. “Nessuno si poteva aspettare una tale concentrazione di precipitazioni in così poche ore”: quante volte abbiamo ascoltato ripetere questa dichiarazione nei commenti post-alluvione degli ultimi anni?
Al di là del dibattito sull’incidenza dei cambiamenti climatici, la storia recente ci dice che ormai le cosiddette “bombe d’acqua” sono la regola e non più l’eccezione, anche nel nostro Paese: è stato così a Messina, alle Cinque Terre, a Genova, nelle Marche, a Olbia e in tutte le altre aree colpite negli ultimi dieci anni ove si sono registrate ben settantanove vittime. E, per tornare alla comunicazione, ci dovremmo attendere amministratori più consapevoli dei temi ambientali, impegnati nel governare l’emergenza (magari con apposite war room dove dovrebbe sempre sedere anche chi si occupa di comunicazione) anziché lasciarsi andare a dichiarazioni che denotano superficialità e improvvisazione e che svelano una colpevole sottovalutazione delle conseguenze di una scarsa attenzione allo stato di salute del territorio.
A tale proposito, tornando al caso di Genova, appaiono particolarmente inquietanti la dichiarazione dei legali di parte civile che bollano il comitato locale di protezione civile come “un carrozzone che non interessava a nessuno e che se non si fosse riunito non sarebbe cambiato nulla visto che non si riuscì a gestire l’emergenza”.
Un ulteriore aspetto che merita particolare attenzione riguarda la comunicazione web e, in particolare, i social network: modalità e strumenti di comunicazione diretta oggi non mancano a chi ricopre un ruolo pubblico per rivolgersi alla propria comunità, per “metterci la faccia” e per cercare forme di alleanza e responsabilizzazione nei confronti di una causa comune.
Se tali strade sono poco percorse o addirittura sistematicamente ignorate, la motivazione è probabilmente legata a un vizio d’origine: si guarda alla cassetta degli attrezzi della comunicazione diretta con la preoccupazione di cadere nel rischio di una deriva populista. E, di conseguenza, si sceglie di affidarsi ancora ai più rassicuranti comunicati stampa e di lanciare messaggi dai convegni agli addetti ai lavori, anziché aprire quella cassetta e affrontarne rischi e opportunità. Ma così agendo non si fa altro che aggravare il gap tra domanda e offerta di comunicazione: i cittadini che quotidianamente utilizzano il web e i social network per orientare le proprie scelte d’acquisto di beni e servizi, a forza di trovare sbarrata la porta d’ingresso alle decisioni pubbliche, rischiano di abbandonare il terreno del confronto e del dibattito civico.
(Fonte: amapola.it) 

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