da Primaonline reportage del Convegno al Politecnico di Milano di venerdì 5 febbraio
Ricordare e allo stesso tempo promuovere la cultura di acqua e ambiente e le relazioni di prevenzione. Questi gli obiettivi di ‘Memoria Viva: dagli angeli del fango agli Angeli 4.0′, il progetto nato nell’approssimarsi del 50esimo anniversario dell’alluvione di Firenze del 1966 e presentato venerdì 5 febbraio al Politecnico di Milano,alla presenza di rappresentanti del mondo accademico, industriale e della comunicazione.
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Ricordare e allo stesso tempo promuovere la cultura di acqua e ambiente e le relazioni di prevenzione. Questi gli obiettivi di ‘Memoria Viva: dagli angeli del fango agli Angeli 4.0′, il progetto nato nell’approssimarsi del 50esimo anniversario dell’alluvione di Firenze del 1966 e presentato venerdì 5 febbraio al Politecnico di Milano,alla presenza di rappresentanti del mondo accademico, industriale e della comunicazione.
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Un’occasione che non vuole essere solo
una celebrazione, ma diventare piuttosto “un’opportunità costruttiva”
per, come ha spiegato Toni Muzi Falconi, senior counsel di Methodos,
“raccogliere e capitalizzare le conoscenze pratiche esistenti, imparando
anche da altri territori, a partire oggi dall’Olanda e dalla sua
cultura, esperienza e infrastruttura nella gestine delle acque”.
E proprio dall’Olanda viene Bart da Vries, presidente dell’Ipra (una delle principali associazioni internazionali che riunisce i professionisti delle pubbliche relazioni), che, anche guardando all’esperienza del suo Paese ha ribadito come sia sempre più fondamentale in situazioni di gravi rischi ambientali saper coinvolgere le persone rendendole consapevoli attraverso una comunicazione corretta ed efficace, che si deve comunque affiancare a politiche di prevenzione e piani di reazione da attuare nei momenti di reale emergenza.
E proprio dall’Olanda viene Bart da Vries, presidente dell’Ipra (una delle principali associazioni internazionali che riunisce i professionisti delle pubbliche relazioni), che, anche guardando all’esperienza del suo Paese ha ribadito come sia sempre più fondamentale in situazioni di gravi rischi ambientali saper coinvolgere le persone rendendole consapevoli attraverso una comunicazione corretta ed efficace, che si deve comunque affiancare a politiche di prevenzione e piani di reazione da attuare nei momenti di reale emergenza.
“Chi 50 anni fa si è occupato di
Firenze, lo ha fatto per filantropia. Oggi è una necessita comune, che
coinvolge tutti”, ha detto Giovanni Azzone, rettore del Politecnico di
Milano, focalizzandosi sul coinvolgimento nel progetto di realtà così
diverse e ribadendo come questa collaborazione e interconnessione sia
uno dei migliori sistemi per affrontare le sfide poste dalla modernità,
perchè “in grado di innescare uno scambio virtuoso che crea
opportunità”.
“Nel 2016 non cade solo il 50esimo
dall’alluvione di Firenze, ma sono anche i 20 anni da quello della
Versilia del 1996″, ha ricordato il professor Giorgio Valentino
Federici, professore di ingegneria civile all’Università di Firenze,
spiegando come il progetto ‘Memoria Viva’, oggi supportato anche dalle
istituzioni e affiancato da un comitato scientifico, sia nato anche con
lo scopo di dare delle risposte per capire quanto à stato fatto e quanto
ancora si deve fare in termini di messa in sicurezza dai rischi
idrogeologici.
Giuliano Bianucci, amministratore delegato di M&C Marketing e Comunicazione, che con Federici è tra gli ideatori del progetto, ha illustrato poi uno dei punti chiave del progetto, cioè la creazione di grande museo-community. Concepito come uno stand con tanti padiglioni, la piattaforma vuole essere lo spazio in cui raccogliere il materiale che racconta i fatti del ’66 e da lì poi partire per escplorare tutte le tematiche connesse, dalla cultura delle acque e del territorio, alla conservazione dei beni culturali. Non un database asettico dunque, ma un racconto a lungo termine attraverso il quale effettuare questo simbolico passaggio di testimone, come racconta il nome del progetto, tra gli angeli del fango di allora e i moderni angeli 4.0.
Giuliano Bianucci, amministratore delegato di M&C Marketing e Comunicazione, che con Federici è tra gli ideatori del progetto, ha illustrato poi uno dei punti chiave del progetto, cioè la creazione di grande museo-community. Concepito come uno stand con tanti padiglioni, la piattaforma vuole essere lo spazio in cui raccogliere il materiale che racconta i fatti del ’66 e da lì poi partire per escplorare tutte le tematiche connesse, dalla cultura delle acque e del territorio, alla conservazione dei beni culturali. Non un database asettico dunque, ma un racconto a lungo termine attraverso il quale effettuare questo simbolico passaggio di testimone, come racconta il nome del progetto, tra gli angeli del fango di allora e i moderni angeli 4.0.
Durante la presentazione non sono
mancati gli interventi di chi con l’arte e il patrimonio culturale del
capoluogo toscano ci lavora quotidianamente, come la dott.sa Cristina
Acidini, presidente dellìAccademia delle Arti del Disegno di Firenze,
che ha definito l’alluvione come il “primo caso di globalizzazione nella
reazione e nell’informazione”. Dal suo punto di vista, è stato il
rischio di perdere questi capolavori artistici che ha generato tutte le
manifestazioni di solidarietà internazionali alle quali si è assistito
nel novembre del ’66 e, paradossalmente, l’alluvione ha creato la grande
opportunità di sviluppare e sperimentare nuove tecniche di restauro e
conservazione, rendendo Firenze, con questa “esperienza sul campo”, uno
dei centri più qualificati in materia. “Dopo quel disastro si è
affrontato anche il tema della messa in sicurezza delle opere d’arte,
innalzandole, dove è possibile nei piani più alti, o predisponendo
materiali per coprirle e proteggerle in caso di esondazione dell’Arno”.
Oltre a lei è intervenuto anche il dott.
Giuseppe De Micheli, segretario generale dell’Opera di Santa Croce, che
nella sua storia è stata testimone non di una ma di più di 50
alluvioni.
Secondo De Micheli, uno dei modi più efficaci per fare story telling sensibilizzando le persone anche su tematiche come i rischi ambientali è raccontare gli eventi anche attraverso degli oggetti, dal Crocefisso del Cimabue, fortemente danneggiato dopo l’esondazione del ’66, al posizionamento di targhe o contrassegni che indichino il livello raggiunto dalle acque.
Secondo De Micheli, uno dei modi più efficaci per fare story telling sensibilizzando le persone anche su tematiche come i rischi ambientali è raccontare gli eventi anche attraverso degli oggetti, dal Crocefisso del Cimabue, fortemente danneggiato dopo l’esondazione del ’66, al posizionamento di targhe o contrassegni che indichino il livello raggiunto dalle acque.
Tra gli interventi successivi,
introdotti da Alessandra Ravetta, condirettore di ‘Prima Comunicazione’,
e focalizzati principalmente sulle modalità da adottare per comunicare
il rischio, anche quello di Silvia Costa, presidente della Commissione
Cultura e Istruzione al Parlamento Europeo. Secondo Costa, che in prima
persona ha partecipato alle manifestazioni di solidarietà nate dopo
l’alluvione, il progetto “cade in un momento opportuno” e la sua
promozione internazionale può contribuire a mantenere viva l’attenzione
anche su quanto sta accadendo in Medio Oriente, con gli attacchi
dell’Isis a monumenti considerati patrimonio dell’Umanità.
Resilienza, intesa come capacità di
reagire a eventi di distruzione, è stata una delle parole chiave
nell’intervento di Biagio Oppi, communication lead Italia, Spagna e
Portogallo di Baxalta, che ha raccontato la sua esperienza durante il
terremoto in Emilia del 2012. Ai tempi lavorava in Gambro, società
specializzata nella produzione di apparecchiature biomedicali, tra le
più colpite dal sisma.
Secondo Oppi, sono tre le caratteristiche che deve avere la comunicazione in situazione di emergenza. Prima di tutto deve creare engagement: “la relisienza nasce da mix di emozioni che riescono a rendere il racconto più semplice, diretto e coinvolgente”, ha spiegato. Altro elemento è la capacità di dosare il racconto, in modo da tenere l’attenzione desta anche quando finisce il vero momento di emergenza. Infine la responsabilità: “il comunicatore”, ha detto, “deve saper instillare un senso di responsabilità verso le comunità alle quali appartiene”.
Secondo Oppi, sono tre le caratteristiche che deve avere la comunicazione in situazione di emergenza. Prima di tutto deve creare engagement: “la relisienza nasce da mix di emozioni che riescono a rendere il racconto più semplice, diretto e coinvolgente”, ha spiegato. Altro elemento è la capacità di dosare il racconto, in modo da tenere l’attenzione desta anche quando finisce il vero momento di emergenza. Infine la responsabilità: “il comunicatore”, ha detto, “deve saper instillare un senso di responsabilità verso le comunità alle quali appartiene”.
Anche Luca Pancalli, presidente del
Comitato Italiano Paralimpico, è tornato sul tema della resilienza, per
ribadire come, accanto al patrimonio culturale, vi sia sempre un
patrimonio umano che non va trascurato negli aspetti comunicativi. Come
succede con lo sport, che al di là del gesto agonistico è anche un modo
per vincere le diversità fisiche, per quel che riguarda ad esempio gli
atleti disabili, o raziali.
A testimoniare poi la partecipazione
giovanile al progetto, in chiusura è intervenuta Elisa Pigoli di
CSRnatives, community creata per promuovere i valori della
responsabilità sociale e della sostenibilità. “Siamo un canale di
comunicazione”, ha detto, “vogliamo essere cittadini attivi e possiamo
coinvolgere i nostri coetanei puntando sull’emozione”.
- Leggi o scarica le slide dell’intervento di Giovanni Azzone, rettore del Politecnico di Milano (.pdf)